Scorrendo Tra Fantasmi Digitali

Ogni tanto, mentre scorro distrattamente i social, mi imbatto in una delle mie città fantasma: un vecchio account Instagram, una pagina Facebook, un blog che un tempo aveva un battito. Piccoli mondi che hanno smesso di girare senza fare rumore. Alcuni erano esperimenti, altri inizi ambiziosi. Alcuni, in quel momento, sembravano linee di salvezza, progetti che contavano davvero, finché la vita è andata avanti e il loro bagliore si è spento.

Internet è pieno di questi fossili digitali. Pagine che un tempo respiravano passione e speranza ora restano sospese in un’ambra virtuale: selfie congelati, iniziative mai completate, dichiarazioni di intenti, opere lasciate a metà. Tutto questo ha un che di sorprendente: abbiamo creato un enorme archivio collettivo del desiderio, sogni, delusioni, cuori spezzati, pensieri incompiuti, che fluttuano insieme in un oceano invisibile di dati.

Guardandolo da vicino, internet sembra un grande calderone, un vortice incessante di emozioni umane. Vi riversiamo amori e perdite, aspirazioni e vanità, indignazioni e il bisogno di essere visti, di essere compresi. Ogni clic, ogni didascalia, ogni post diventa un’offerta silenziosa.

Cosa succede a tutta quell’energia una volta liberata? Scompare nel codice, oppure continua a vivere, trasformata, reinterpretata, reincanalata nel feed o nella coscienza di qualcun altro?

Forse è una forma moderna di preghiera. Non quella inginocchiata, non la comunione silenziosa con divinità o antenati, ma l’atto di inviare qualcosa, di proiettare un segno fuori da noi, nella speranza di essere visti. Una volta si accendevano candele nelle chiese, si sussurravano confessioni nella notte. Ora carichiamo foto, tagghiamo, condividiamo.

Un tempo lo sguardo era rivolto verso il cielo, alla ricerca di senso. Oggi ci chiniamo sui nostri schermi, il volto illuminato dal basso, come figure in un rituale laico. La direzione è cambiata, ma il bisogno di connettersi, di essere ascoltati, resta intatto.

Questi resti digitali, le pagine dormienti e i progetti dimenticati, raccontano qualcosa di profondo: siamo ancora creature di desiderio. Anche quando la preghiera tace, l’altare rimane. Creare, anche se destinato a svanire, conserva valore, perché una volta era sincero, perché una volta era vivo.

Tra anni, gli archeologi del futuro non scaverranno tra le rovine di pietra, ma tra le tracce che abbiamo lasciato online, ritrovando post, playlist, i segni del nostro passaggio digitale. Troveranno prove non solo di ciò che abbiamo costruito, ma di ciò che abbiamo sentito.

Dietro tutto il rumore, la vanità e lo scorrere infinito, stava accadendo qualcosa di profondamente umano: il desiderio eterno di essere conosciuti, di connettersi, di lasciare una traccia.

Nulla di ciò che condividiamo online scompare davvero. Si posa, come polvere alla luce del sole, sulla vasta superficie della nostra memoria collettiva. E forse basta così: aver lasciato un segno, per quanto lieve, nel flusso infinito della presenza umana, semplicemente il nostro modo di dire: *Io c’ero.*

Published by Maddalena Di Gregorio

“I kept always two books in my pocket, one to read, one to write in” Robert L. Stevenson

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